Dramma storico in quattro quadri
Prima: Milano, Teatro alla Scala, 28 marzo 1896
Personaggi:
Andrea Chénier (T); Carlo Gérard (B); la contessa
di Coigny (Ms); Maddalena di Coigny (S); la mulatta Bersi (Ms);
Roucher (B); il sanculotto Mathieu, detto Populus (Bar); Madelon
(Ms); un Incredibile (T); il romanziere pensionato del re Pietro
Fléville (B); l’abate poeta (T); Schmidt, carceriere
a San Lazzaro (B); il maestro di casa (B); Dumas, presidente
del Tribunale di salute pubblica (B); Fouquier Tinville, accusatore
pubblico (B); dame, signori, abati, lacchè, staffieri,
conduttori di slitte, ungheri volanti, musici, servi, paggi,
valletti, pastorelli, straccioni, borghesi, sanculotti, carmagnole,
guardie nazionali, soldati della Repubblica, gendarmi, mercatine,
pescivendole, calzettaie, venditrici ambulanti, Meravigliose,
Incredibili, rappresentanti della Nazione, giudici, giurati,
prigionieri, condannati, ragazzi strilloni, un maestro di musica,
Alberto Roger, Filandro Fiorinelli, Orazio Coclite, un bambino,
un cancelliere, il vecchio Gérard, Robespierre, Couthon,
Barras, un fratello servente (garzone di caffè)
Umberto Giordano arrivò al successo nel 1896 con Andrea
Chénier, ispirato alla vita del poeta
francese, dopo la contrastata accoglienza di Mala vita (1892)
e il fiasco
di Regina Diaz (1894). Alla riuscita dell’opera, di cui
dubitavano sia l’editore sia il Teatro alla Scala, contribuirono
due padrini d’eccezione: un compositore influente quale
era il barone Alberto Franchetti, che cedette a Giordano il
libretto, e Pietro Mascagni, che la fece rimettere in cartellone
correggendo il giudizio lapidario del consulente musicale di
Sonzogno: «Irrappresentabile». Nonostante la defezione
di Alfonso Garulli, il tenore che avrebbe dovuto tenere a battesimo
il personaggio di Chénier, e la sua sostituzione con
Giuseppe Borgatti, reduce da vari insuccessi e a quell’epoca
senza scritture, la prima rappresentazione ebbe un esito trionfale,
grazie anche all’eccellenza del soprano Evelina Carrera
nel ruolo di Maddalena e del baritono Mario Sammarco in quello
di Gérard. Uguale entusiasmo suscitò il debutto
a New York il 15 novembre 1896. In pochi anni l’opera
fu eseguita nei più importanti teatri europei e americani,
dove compare tuttora con regolarità in cartellone.
Atto primo . Signoria dei conti di Coigny,
una giornata d’inverno
del 1789. Nella serra del castello, imitazione pretenziosa
di più nobili dimore, tra grotte abitate da ninfe, statue
di dèi olimpici e mulini in miniatura, una folla di
valletti e lacchè sposta mobili e vasi ai comandi di
un maestro di casa. In mezzo il servo Gérard, che trasporta
un sofà azzurro. Dal giorno in cui è stato sorpreso
a leggere Rousseau e gli Enciclopedisti, per lui non c’è pace.
E mentre gli altri, a un cenno del maestro, si ritirano, lui
rimane in ginocchio a lisciare la seta, sprimacciare i cuscini,
sciogliere i nodi alle frange. Se ne lamenta ironico con il
divano ("Compiacente a’ colloqui del cicisbeo"),
ma presto il sarcasmo si muta in invettiva. Dal giardino avanza
trascinandosi sotto il peso di un mobile il vecchio padre e
Gérard non trattiene lo sdegno ("Son sessant’anni"),
inneggiando tra le lacrime alla Rivoluzione. Intanto, al di
là della serra, sono comparse la contessa e Maddalena
con l’inseparabile cameriera Bersi, la madre in ansia
per i preparativi della festa, la figlia in contemplazione
del tramonto ("Il giorno già s’inserra lentamente!"),
sotto lo sguardo ammirato del servitore. La giovane indugia,
detesta indossare corsetti, gonne ‘coscia-di-ninfa-bianca’ e
cappelli ‘alla Montgolfier’ e, contro il volere
materno, sceglie per la serata una mise di neoclassica compostezza:
lungo abito bianco e rose tra i capelli. Di lì a poco
il castello si anima. Arrivano slitte, dame impellicciate,
cavalieri incipriati e, a chiudere il teatro degli ospiti,
un abate dicitore, il romanziere Fléville, il musicista
Fiorinelli e «un che fa versi e che promette molto»,
Andrea Chénier. L’abatino porta da Parigi notizie
nefaste: il re è debole, c’è un Terzo stato
e - «orrore» - la statua di Enrico IV è stata
offesa. L’ansia cresce, ma Fléville è rapido
a placarla ("Passiamo la sera allegramente") e invita
tutti a seguire la pastorale di sua composizione che sta per
essere rappresentata. Pastorelli e pastorelle declamano sospirando
arcadici amori, applauditi soprattutto dalle signore. Poi l’abatino
improvvisa una favola antirivoluzionaria, suscitando robuste
risate. Chénier, in disparte, tace. Soltanto Maddalena
riesce a sottrarlo alla sua malinconia, quando gli chiede di
parlare d’Amore. Il poeta si abbandona a un canto ("Un
dì all’azzurro spazio"), ma evoca povera
gente, fatiche, miseria, conquistando la contessina, irritando
gli ospiti e infiammando l’animo di Gérard, che
irrompe in sala alla testa di un gruppo di mendicanti. «Ah,
quel Gérard... L’ha rovinato il leggere»,
lamenta la contessa distesa sul sofà dopo avere cacciato «ciurmaglia» e
servitore. Le dame e i cavalieri riprendono a danzare una gavotta.
Atto secondo .
Parigi, un giorno di giugno del 1794. In primo piano, un ‘altare’ dedicato a Marat, il caffè Hottot
e la terrazza dei Feuillants; sullo sfondo, l’ex Cours-la-Reine
e il ponte Peronnet che conduce al palazzo dei Cinquecento.
Chénier siede solo a un tavolino. Il sanculotto Mathieu
e la carmagnola Orazio Coclite parlano con tracotanza di rivoluzione;
Bersi, fingendosi convertita ("Temer, perché?"),
interroga un ‘Incredibile’ a proposito delle spie
di Robespierre. «Osservatori dello spirito pubblico»,
obietta l’uomo, tradendo il proprio ruolo di delatore.
E non persuaso dalle proclamazioni di fede della mulatta, decide
di seguirla a distanza. Il suo obiettivo è ambizioso:
riportare a Gérard, diventato un protagonista del Terrore,
Maddalena di Coigny e consegnare alla giustizia il controrivoluzionario
Chénier. Roucher, che intanto è arrivato al caffè,
tenta invano di convincere l’amico a mettersi in salvo.
Chénier sente che il destino ("Credo a una possanza
arcana"), un destino d’amore ("Io non ho amato
ancor"), lo chiama a restare, per trovare la donna misteriosa
che da tempo chiede il suo aiuto in lettere firmate Speranza.
Roucher esamina i messaggi, la calligrafia sottile, la carta
elegante profumata di rosa e smaschera la sedicente innamorata:
si tratta di una ‘Meravigliosa’, una delle tante
cortigiane al servizio della Rivoluzione. Addolorato per l’ennesima
disillusione, Chénier decide allora di partire. Ma proprio
in quel momento, dalla folla scomposta che si accalca intorno
al palazzo dei Cinquecento per vedere Robespierre, esce Bersi:
appena il tempo di dare a Chénier un appuntamento con
la sua ignota scrittrice prima di scomparire tra i fazzoletti,
le coccarde e i berretti frigi levati per l’Incorruttibile.
Così quella sera, vicino al sinistro altare di Marat,
Chénier incontra la sua Speranza: non una sconosciuta,
ma Maddalena. Lei gli dice la sua stima e implora protezione
("Eravate possente"), lui le risponde rapito ("Ora
soave"). Poi, in un impeto di passione, Andrea e Maddalena
si giurano fedeltà fino alla morte, ignorando quanto
l’ora sia vicina. L’Incredibile, nascosto dietro
un albero, non ha perso una delle loro parole e le ha prontamente
riferite a Gérard, che compare all’improvviso
sfidando a duello Chénier. Con un paio di abili parate
e una stoccata, il poeta atterra il rivale, non risparmiando
il sarcasmo per l’imperizia del servitore. Ma Gérard,
assai più nobilmente, spinge Chénier a fuggire
con Maddalena e lascia credere alle Guardie nazionali di essere
stato ferito dai Girondini. «Morte agli ultimi Girondini»,
urla la folla minacciosa.
Atto terzo .
Tribunale rivoluzionario, prima sezione. Sul tavolo del presidente
Dumas, sorvegliato da
carmagnole e guardie
nazionali, campeggia una grande urna per i contributi alla
causa. «La patria è in pericolo», dice una
scritta su un drappo tricolore. Mathieu si adopera per ottenere
dalla popolazione oro e soldati, ma con esiti scarsi. Più convincente
risulta Gérard, sebbene ancora sofferente per la ferita.
Al suo appello ("Lacrime e sangue dà la Francia")
risponde anche una cieca ("Son la vecchia Madelon"),
che immola alla Rivoluzione il nipote quindicenne, suo unico
sostegno. Il ragazzo viene accettato con militaresca ruvidezza
e la commozione esplode in una travolgente Carmagnola intonata
e danzata per le strade della città. Al calore della
folla si contrappone però il gelo del tribunale, dove
l’Incredibile, con irresponsabile leggerezza, annuncia
a Gérard il prossimo arresto di Chénier, cui
lo condurrà proprio l’ignara Maddalena ("Donnina
innamorata"). Gérard esita, poi scrive l’atto
d’accusa, dal momento che sul poeta già pesa la
condanna di Fouquier-Tinville. Ma questo non gli impedisce
di sentirsi insieme vile e servo impotente di nuovi padroni.
E riflette beffardo sugli ideali infranti, sulla sua anima
rivoluzionaria trasformata in quella di un assassino, sulla
Ragione schiava del Senso ("Nemico della patria?").
Ad aggravare la sua angoscia arriva Maddalena, scarmigliata,
sconvolta, che lo scongiura di salvare Chénier. Gérard
invece le confessa il suo amore ("Io l’ho voluto
allora che tu piccina") e, accecato dalla gelosia, cerca
di possederla. La donna gli oppone un lamento accorato, dove
ripercorre le tragedie degli ultimi anni ("La mamma morta")
e poi si offre come «morta cosa», ottenendo che
lui non solo desista dall’intento, ma le chieda perdono
e prometta di aiutarla. Troppo tardi. A nulla valgono i ritrattamenti
di Gérard e l’orgogliosa difesa di Chénier
("Sì, fui soldato"). Il poeta viene mandato
a morte fra l’atroce esultanza della popolazione.
Atto quarto .
Cortile delle prigioni di San Lazzaro. Assistito da Roucher,
Chénier sta finendo di scrivere dei versi
("Come un bel dì di maggio"): è il
suo congedo dall’‘ultima dea’, la Poesia.
I due amici si abbracciano e quando arriva il carceriere Schmidt
si separano commossi. Sulle prigioni scende la notte, dall’esterno
giungono lontane le note della Marsigliese. Ma Chénier
non morirà da solo. Fedele al giuramento sotto l’altare
di Marat, Maddalena obbliga Gérard a introdurla nella
prigione e a scambiarla con una condannata. Finalmente uniti
("Vicino a te s’acqueta... La nostra morte"),
gli amanti si concedono la loro unica notte d’amore e
all’alba salgono debitamente fieri sulla carretta che
li condurrà alla ghigliottina. Gérard, l’uomo
della Rivoluzione, piange di dolore e di amarezza. Tra le mani
stringe ancora il biglietto di Robespierre, che alle sue preghiere
per la vita di Chénier ha risposto: «Anche Platone
bandiva i poeti dalla sua Repubblica».
Nessuna altra opera di Giordano ha ottenuto
il successo di Andrea Chénier, nemmeno Fedora, rappresentata nel 1898
al Teatro Lirico di Milano con un giovanissimo Caruso. Legata
alle alterne fortune del verismo musicale - oggetto di un dibattito
non ancora equanime - l’opera continua a essere attaccata
da chi ne critica la drammaticità enfatica e la ricerca
dell’effetto facile, e difesa da chi, oppositore della
modernità, ne tesse lodi forse non proporzionate ai
risultati. Oggi però si tende ad approfondire sia il
contesto storico-culturale in cui l’opera nacque (una
Milano di fine secolo - città di adozione del pugliese
Giordano - divisa tra ambizioni politiche e rivendicazioni
populiste, tra gli orizzonti circoscritti della piccola borghesia
e le prime spinte europeistiche) sia le specifiche caratteristiche
musicali (un’orchestra concentrata sul racconto e sul
gesto dei personaggi, tendente a una illustrazione efficace
dell’azione scenica piuttosto che a un’amplificazione
psicologica o concettuale degli eventi; una conseguente attenzione
a transizioni armoniche che accostano tonalità spesso
lontane, per sottolineare trapassi d’umore o di atteggiamento;
una solidità architettonica e una misura stilistica
che arginano gli slanci canori e il ‘grido’ verista).
Amato dagli interpreti, in particolare dai tenori, per la cantabilità delle
melodie delle sue celebrate arie e duetti, Andrea Chénier è stato
un cavallo di battaglia di molti cantanti, da Giovanni Zenatello,
Giacomo Lauri-Volpi e Beniamino Gigli, che scelsero questo
ruolo per il loro debutto londinese, a Mario Del Monaco e Franco
Corelli.
Tratto dal "Dizionario dell Opera"