Nausicaa
Puro è il sonno di una giovane, prima che la stagione piena della vita
le si spalanchi, lasciando intanto ai sogni le previsioni più serene e
liete. La brezza ne sollecita il risveglio, vivace come sempre, perché trae
esso ai giochi residui dell’infanzia e ai desideri primi dell’adolescenza. La
giovane è la principessa di
un regno beato. Nausicaa è il suo nome.
Un
turbamento dolce la prende, sapendo che s’approssima il tempo ormai delle nozze; ma la vaghezza di
correre la trattiene ancora nell’età gioiosa dei sorrisi
e degli svaghi. Un progetto semplice, immediato e soave, le si disegna
nella fantasia: recarsi alla riva del mare, insieme con le ancelle
che sono amiche, per lavarvi le vesti splendenti al sole. Il suo sguardo
va intanto al cielo intenso d’azzurro.
Nausicaa
si leva. S’affretta ai
genitori regali: alla madre che fila stami dai bagliori del mare e
al padre nobile, il quale le accorda immediatamente il permesso d’andare.
Lei detergerà le vesti, onde muoveranno alle danze i
fratelli.
La
madre caricherà il carro con
provviste per la contenta gita giovanile, grazie alla quale s’allieteranno
le ragazze, lavando, ponendo le vesti ad asciugare, bagnandosi nell’acqua,
assaporando le provviste sopra l’erba dolcissima e correndo infine
qua e là, dietro la palla del gioco spensierato.
Proprio
della giovinezza, il tempo della primavera è stato narrato nel Canto VI dell’Odissea, come
una fanciulla sorridente al sole; e non si potevano raccontarne meglio
le gioie spontanee, le vivacità impulsive, le aspirazioni
fresche.
"Tutte sono belle” quelle
ragazze che corrono ridendo nella mattinata splendida del mare,
mandando voci esuberanti e melodiche, come le ninfe, le quali abitano le cime
ripide dei monti solitari, le sorgenti riverberanti dei fiumi
e i pascoli
ricchi di verde. La compagnia femminile, innocente e lieta,
si trova davanti Odisseo, naufrago in quel luogo beato. Fuggono
tutte, alla vista dell’uomo
imbrattato di salsedine, tranne lei, Nausicaa, la principessa: lei
si trattiene e gli sta di fronte, incoraggiata dalla peculiare fiducia
improvvisa, la quale nasce nel cuore femminile, quando la donna sente
subito ammirazione e intuisce l’amore, subito confuso e
indefinito, dopo sorprendente e acceso. La
giovane ascolta le parole di quell’uomo,
che dice del cielo vasto; sente dire da lui che lei è un germoglio;
sente confessare da lui l’invidia verso chi la guiderà un
giorno alla propria dimora, coprendola di doni.
Odisseo è preso
da stupore crescente alla visione di Nausicaa. La paragona ad una palma,
fissata in un giorno
lontano al sereno più terso. Egli ammira, è preso da
un timore vago, nello sfiorarle soltanto le ginocchia. Le augura che
le venga concesso un marito, una casa, “e per compagna la concordia
felice”. Odisseo
passa dalla meraviglia subitanea all’invidia pur rispettosa verso chi sposerà Nausicaa;
e traccia il programma più soave, cui si protende il desiderio
femminile. La giovane lo conforta, assumendo senza ritrosia la parte
elevata della donna, pronta all’aiuto sia morale sia fisico;
richiama le ancelle amiche, le rassicura, le invita ad occuparsi del
naufrago. Dopo
essersi purificato alle abluzioni, dopo aver riacquistato il nobile
aspetto maturo, Odisseo si pone in
disparte a guardare il mare una volta ancora, “splendente di
bellezza e grazia: lo ammirava Nausicaa”.
L’immagine
regalata da Omero è quella
più rilevata, lungo il destino degli uomini e delle donne insieme,
per i sentieri e le distese del mondo: la donna contempla l’uomo
che guarda lontano, e proprio per quell’atteggiamento insieme
virile e nostalgico, lei dimentica gli altri, pur dediti alla sua persona,
pur premurosi verso le sue esigenze. Dinanzi
allo stupore di Nausicaa, Odisseo si staglia come una divinità, abitante il cielo vasto. E Omero
attribuisce alla giovane la frase più soavemente femminile,
più intensamente desiderosa, più ampiamente nostalgica:
Oh,
se un uomo così potesse
dirsi mio sposo
qui abitando e qui gli fosse caro rimanere”.
Ma
andrà via Ulisse Odisseo anche dal
luogo beato, dove gli s’era soffermata davanti una principessa,
la quale glorificava la primavera del mondo e sua propria. |